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Cedetti sulla poltrona del cinema sospirando sollevato. Dopo una giornata simile, non rientrava tra le ipotesi rilassarsi in un multisala. Telefono spento, concentrazione sullo psicologico thriller, confezione maxi di popcorn e una compagnia assecondante. La guardai mentre mettevo in bocca una manciata abbondante di popcorn. In piedi, davanti al suo posto, si stava togliendo la giacca. L’appoggiò contro il bracciolo che divideva i nostri posti, tirò su, a metà avambraccio, la manica della maglietta e poi si sedette. Quando si voltò a guardarmi, allungando una mano verso il contenitore del cibo, aveva lo sguardo che rideva. Temevo per la mia espressione.
Non riuscivo a toglierle gli occhi di dosso, nonostante sentissi la mia espressione impacciata, impostata sulla modalità imbarazzante. Labbra pendenti in un sorriso che sembrava un ghigno, sguardo curioso con occhi troppo ravvicinati. Non so come, riuscii a recuperare la mia normale impostazione. Sentii i muscoli facciali rilassarsi e riprendere a masticare i chicchi di mais scoppiati, mentre cercavo di distrarmi coi segmenti pubblicitari che anticipavano la proiezione.
René, gambe accavallate, sfogliava la rivista di interviste e anticipazioni prodotta dal multisala. Movimenti rapidi, sguardi mirati e articolati dalle espressioni d’interesse o disgusto, a seconda del soggetto. Non mi accorsi dell’avanzata fino a quando non si avvicinò abbastanza per farmi vedere l’articolo su un film romantico, che aveva avuto abbondante successo il mese precedente.
«È riuscita a trascinartici, alla fine? Alessandra, giusto?» mi chiese ironica.
«Caterina. Sì, alla fine ho ceduto.»
«Allora è quella giusta!» l’interesse che arricchiva la frase era reale, fresco di sincera speranza.
«Stai cercando di accasarmi?» lo dissi scherzando, ma temevo in una contro reazione che non avrei saputo gestire.
«Jonathan, il randagio, dopo una certa età, diventa un tipo bizzarro.» il tono serio non m’impedii di grugnire un sorriso.
«Ehi, io ho solo trent’otto anni e sono un maschio. Due bonus che concedono ampio margine, prima di diventare losco!»
L’ampio sorriso che ottenni mi catturò alcuni secondi.
«Deve essere bello essere maschi.» considerazione che le fece brillare una scia malinconica nello sguardo, stato d’animo che l’abbandonò col successivo battito di ciglia.
Imbarazzato abbassai lo sguardo, assieme alla sua mano che si tuffava nel barattolo dei popcorn.
«Cosa hai fatto?»
La cicatrice le attraversava l’avambraccio in diagonale, dal gomito interno al polso esterno. Una striscia bianca, informe, cicatrizzatasi senza punti di sutura.
«Si è rotto un piatto.» una risposta sfuggevole, come la mano che si ritraeva e lo sguardo che deviava sullo schermo o sulle persone attorno.
Avevo toccato un ennesimo argomento da evitare, qualcos’altro per il quale avrebbe trovato una scusa per cambiare soggetto. Guardandola addolorato, mi accorsi degli altri segni. Altre bianche cicatrici, più piccole e di diverse forme, presenti sul collo e sulle varie zone delle parti esposte delle braccia. Come faceva una donna di soli ventisei anni ad avere tanti marchi addosso? Impronte che non potevo non classificare come tortura. Quale essere ignobile le aveva fatto questo?
Nell’oscurità della sala, con il sottofondo della musica di apertura, sbriciolai i quattro popcorn che tenevo in mano.
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